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Rivista Idraulica 64

L'EFFICIENZA DEGLI IMPIANTI

Articolo di: Ing. Mattia Tomasoni
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Durante il periodo invernale, il comfort termico all’interno di un edificio è dato dal mantenimento della temperatura negli ambienti entro di un certo range (18–20 °C).
Tale temperatura può essere mantenuta se il bilancio tra il calore immesso e quello disperso risulta in equilibrio. Infatti, ad immissioni di calore inferiori alle dispersioni corrisponde un abbassamento della temperatura interna.
Un fattore spesso poco considerato nei calcoli energetici è l’impianto, non tanto per la tipologia dei suoi componenti principali come il generatore, la distribuzione e l’emissione, bensì per come è effettivamente dimensionato e regolato.
Per semplicità di calcolo e standardizzazione delle procedure i software utilizzati per la determinazione dei consumi energetici degli edifici, e quindi delle relative classi energetiche, non entrano nel merito di aspetti progettuali di dettaglio e soprattutto di corretta gestione degli impianti. Questi approcci di calcolo spesso portano a scostamenti, anche importanti, tra i consumi energetici calcolati e quelli reali degli edifici.

Le dispersioni di un edificio riscaldato sono influenzate essenzialmente da:

  • dispersioni attraverso l’involucro opaco (muri, tetti, pavimenti verso gli ambienti freddi o l’esterno);
  • dispersioni attraverso gli elementi finestrati;
  • dispersioni per ventilazione (naturale o forzata);

Le immissioni di calore (o guadagni interni) sono invece date da:

  • calore disperso dagli apparecchi illuminanti e dagli elettrodomestici;
  • calore ceduto dagli occupanti (guadagni interni);
  • calore immesso per irraggiamento attraverso le superfici finestrate (guadagni solari);
  • calore immesso dai sistemi di climatizzazione ambiente.

METODI DI CALCOLO DELLE DISPERSIONI

Per calcolare la massima potenza necessaria al riscaldamento si possono adottare due metodologie:

1. Calcolo statico
2. Calcolo dinamico

Il calcolo statico consiste nel “fare una fotografia” dell’edificio nelle condizioni di massima dispersione. In altre parole, si considera una temperatura minima di progetto esterna ed in base a quella si calcolano le dispersioni dell’edificio. In funzione di questo valore viene calcolata la potenza termica massima dell’impianto. In questo caso non è possibile considerare gli apporti termici gratuiti degli impianti elettrici, affollamento o irraggiamento in quanto fortemente discontinui.

Il calcolo dinamico, diversamente da quello statico, considera il bilancio termico dell’edificio nel suo sviluppo temporale. In altre parole, si considera la capacità che ha un edificio di accumulare e cedere calore al suo interno andando così a smorzare gli effetti che gli apporti e le dispersioni termiche provocano agli ambienti interni.

Ad esempio, se un edificio è stato riscaldato e ha accumulato calore all’interno delle murature e degli arredi, un aumento delle dispersioni provocherà una cessione di calore verso l’aria interna andando a smorzare il suo calo termico.

In sintesi, il metodo statico si limita all’analisi di un singolo istante mentre il metodo dinamico considera l’intero svol- gimento del fenomeno. Per questo motivo il primo, che ha comunque il vantaggio di essere molto più semplice, è limitato rispetto al secondo.

L’analisi statica può essere paragonata alla fotografia di una palla su un prato (Fig. 2).

Essa ci dice la posizione della palla all’i- stante dello scatto, ma nulla ci dice sul suo eventuale spostamento. Dall’analisi dei fotogrammi precedenti allo scatto sarebbe invece facile prevedere lo spostamento della palla: questo è l'obiettivo dell’analisi dinamica (Fig. 3).

Tornando alle dispersioni dell’edificio, un’analisi dinamica, a fronte di una maggiore complessità di calcolo, può essere vantaggiosa in quanto può dare informazioni utili rispetto al modo in cui l'inerzia dell'edificio influenza la variazione della temperatura interna.

Questo è utile soprattutto:

1. nel calcolo della potenza di picco dell'edificio;
2. nel calcolo del fattore di accumulo, ossia nella stima di quanto l’edificio può essere utilizzato come “accumulo termico”.

LA POTENZA DI PICCO

Le dispersioni dell’edificio nelle condizioni di temperatura esterna peggiori vengono utilizzate per definire la potenza massima, o di picco, del generatore di calore. Questo dimensionamento è alla base del calcolo statico; il calcolo dinamico, invece, considera l’evolversi della temperatura interna al variare della temperatura esterna in base alla capacità che possiede l’abi- tazione di accumulare calore e cioè la sua capacità termica.

Generalmente la capacità termica è espressa come la quantità di calore che un corpo è in grado di accumulare o cedere al variare di un grado centigrado; per i materiali si misura per unità di massa. Per le abitazioni, per le quali è più immediato conoscere la superficie disperdente, è espressa per unità di superficie ed è detta capacità termica aerica e la sua unità di misura è [kJ/m2 K].

Maggiore è la capacità termica di un edificio, maggiore sarà la sua capacità di accumulare e cedere calore al variare della temperatura esterna smorzandone gli effetti. In altre parole, la capacità termica funziona da ammortizzatore termico.

L’effetto utile che si può sfruttare nel calcolo della potenza di picco è riassunto in Fig. 5 dove si è simulato l’effetto della potenza necessaria a riscaldare l’edificio al variare della capacità termica.

Il dimensionamento della potenza di picco su un modello dinamico risulta notevolmente utile nei sistemi a pompa di calore. A differenza delle caldaie, questi generatori hanno una resa molto diversa al variare del carico rispetto a quello nominale. Una pompa di calore sovradimensionata rispetto alle reali necessità avrà un rendimento minore con relativi maggiori costi di gestione, costi che devono anche essere sommati al maggior costo di acquisto di un generatore di taglia più grande.

CALCOLO DEL FATTORE DI ACCUMULO

Come accennato in precedenza, è possibile sfruttare gli edifici ad elevata inerzia termica come veri e propri accumulatori di energia.

Gli apporti gratuiti di calore, quali ad esempio l’irraggiamento solare, che si generano durante il normale utilizzo dell’abitazione, possono essere accumulati durante le ore diurne e convenientemente sfruttati durante le ore serali quando le temperature esterne calano.

Al contrario, in un edificio a bassa inerzia termica, l’irraggiamento solare può provocare una sovratemperatura degli ambienti durante le ore diurne e un repentino calo delle temperature, non appena questo apporto viene a mancare. Il calo di temperatura necessita di una compensazione da parte dell’impianto di riscaldamento con consumi conseguentemente maggiori, rispetto al caso di un edificio ad alta inerzia termica.

L’elevata inerzia termica può essere convenientemente sfruttata per migliorare l’efficienza degli impianti a pompa di calore, il cui rendimento è fortemente influenzato dalla tempera- tura dell’aria esterna. I rendimenti possono essere migliorati facendo funzionare il più possibile questi generatori durante le ore diurne, in ragione delle maggiori temperature esterne, permettendo l'accumulo di calore e il successivo rilascio durante le ore notturne.

Se, oltre all’impianto a pompa di calore, l’edificio è dotato di impianto fotovoltaico la strategia di gestione appena illustrata è maggiormente efficace.

I fattori che influenzano il consumo energetico degli edifici sono due:

1. la prestazione dell’involucro: determinata da quanto calore riesce a trattenere e accumulare, da quanto sfrutta l’irraggiamento solare e dalla sua tenuta all'aria;

2. la tipologia e l’efficienza degli impianti: ovvero con quale efficienza gli impianti trasformano e trasferiscono calore dalle fonti primarie all’interno degli edifici.

Il primo aspetto è stato accennato nel capitolo precedente facendo particolare riferimento alla capacità degli involucri di accumulare calore e come questo fattore possa essere convenientemente sfruttato per dimensionare e migliorare l’efficienza degli impianti.

Il secondo punto, che svilupperemo nei paragrafi seguenti, evidenzia che esistono fondamentali differenze tra la variazione di efficienza che può avere un generatore tradizionale (come la caldaia a gas), rispetto ad una pompa di calore aria- acqua. In particolare, vedremo come una regolazione non corretta o un dimensionamento errato abbiano effetti molto più rilevanti sui generatori a pompa di calore rispetto agli impianti tradizionali.

IL RENDIMENTO DELLE CALDAIE A CONDENSAZIONE

I generatori di calore a combustione, tra cui anche le caldaie a gas, sono tra i primi ad essere stati sviluppati ed utilizzati. Per questo motivo possiedono una maturità tecnologica che garantisce rendimenti ormai molto elevati e stabili, ampi campi di modulazione uniti ad un’elevata affidabilità. Nello specifico, il rendimento di un generatore a gas a condensazione è influenzato in modo significativo da due fattori principali:

• la temperatura di ritorno;
• la percentuale di carico.

Nelle caldaie a condensazione la temperatura di ritorno condiziona la quantità di vapore condensato dal generatore e di conseguenza, la quota di calore latente recuperabile. È noto che per aumentare il rendimento di queste macchine è necessario progettare impianti con la temperatura di ritorno il più bassa possibile. Tuttavia, se analizziamo l’andamento delle curve di rendimento al variare della temperatura di ritorno, come quella riportata in Fig. 9, possiamo notare come il rendimento possa variare in un range di circa 10 punti percentuali rispetto al massimo ottenibile.

Se con la stessa ottica si analizza come varia il rendimento rispetto alla variazione di carico (vedi Tab. 2) si intuisce come questo fattore, per i generatori di tipo domestico, abbia un’incidenza di massimo 2-3 punti percentuali.

Altro aspetto molto importante è il campo di modulazione di questi generatori che risulta molto ampio con potenze minime erogabili inferiori al 10 % di quella nominale.

Le caldaie a gas sono quindi macchine che variano la loro resa, al variare delle temperature di ritorno e del carico, in un intervallo del 12-15 %.

ACCORGIMENTI PER MASSIMIZZARE IL RENDIMENTO DEGLI IMPIANTI CON CALDAIE A CONDENSAZIONE

Come per tutti gli impianti, gli accorgimenti necessari per massimizzare il rendimento, si possono dividere in due categorie:

• interventi di tipo progettuale, che comportano la corretta scelta del generatore e degli impianti di distribuzione ed emissione;

• interventi di tipo gestionale, che implicano la corretta regolazione e modalità di utilizzo degli impianti.

ACCORGIMENTI PROGETTUALI

Per gli impianti dotati di caldaia a condensazione gli inter- venti progettuali consistono nel dimensionare il generatore con una potenza adeguata al carico, evitando inutili sovra- dimensionamenti. È necessario, inoltre, fare particolare attenzione alla corretta scelta del sistema di distribuzione e di emissione in modo da minimizzare la temperatura di ritorno in caldaia. Scelte progettuali che soddisfano questa condizione possono essere:

  • adottare sistemi radianti operanti a bassa temperatura;
  • progettare impianti a radiatori che presentano basse temperature medie (50–55 °C);
  • dimensionare impianti a radiatori operanti con alti salti termici;
  • adottare valvole termostatiche sui radiatori.

ACCORGIMENTI DI GESTIONE

Gli interventi a livello di regolazione che garantiscono la miglior resa per questi tipi di generatore di calore sono:

  • regolare con temperatura di mandata di tipo climatico;
  • regolare la temperatura e la portata corretta sul circuito primario dei pannelli radianti;
  • regolare correttamente le valvole termostatiche sul minimo valore che garantisce il comfort termico;
  • bilanciare correttamente le reti di distribuzione.

IL RENDIMENTO DELLE POMPE DI CALORE ARIA-ACQUA

Il rendimento delle pompe di calore aria-acqua è influenzato in modo preponderante da 4 fattori:

1. temperatura aria esterna;

2. temperatura di mandata;

3. sbrinamenti;

4. fattore di carico.

I primi due fattori, che sono anche detti temperatura della sorgente calda e della sorgente fredda, influenzano direttamente il COP della pompa di calore e hanno andamenti come riportato nel grafico di Fig. 12.

Lo sbrinamento è necessario alle pompe di calore per liberare gli scambiatori dell’evaporatore da eventuali formazioni di ghiaccio (brina) che si possono formare dal congelamento del vapore acqueo contenuto nell’aria. Tale fenomeno dipende dalla temperatura e dall’umidità relativa dell’aria e presenta un picco in corrispondenza di aria con umidità relativa superiore all'80 % e una temperatura di 3-4 °C (condizioni di formazione della nebbia).

Lo sbrinamento è necessario alle pompe di calore per liberare gli scambiatori dell’evaporatore da eventuali formazioni di ghiaccio (brina) che si possono formare dal congelamento del vapore acqueo contenuto nell’aria. Tale fenomeno dipende dalla temperatura e dall’umidità relativa dell’aria e presenta un picco in corrispondenza di aria con umidità relativa superiore all'80 % e una temperatura di 3-4 °C (condizioni di formazione della nebbia).

Se si analizza l’andamento del COP di una pompa di calore si può vedere come questo vari da un minimo di 1,5 ad un massimo di 5. Una lettura semplice di questa variabilità è visibile dal grafico di Fig 14.

In merito al fattore di carico è necessario distinguere due tipologie di pompa di calore aria-acqua in cui il peso di questo fattore ha un effetto diverso sul rendimento:

  • pompe di calore on-off: macchine che emettono una potenza costante e modulano il carico attraverso cicli di accensione e spegnimento;
  • pompe di calore modulanti (a inverter): generatori che possono variare la potenza emessa, modificando la velocità di rotazione del ventilatore che convoglia l’aria sull’evaporatore e la velocità di rotazione del compressore.

Nelle macchine a compressione, come le pompe di calore, ogni ciclo di accensione comporta delle piccole perdite energetiche le cui cause sono da ricercare nei seguenti aspetti:

  • maggior potenza di avviamento del motore elettrico dovuta alle correnti di spunto;
  • spostamento della carica di refrigerante dal lato a bassa pressione a quello ad alta pressione;
  • transitorio termico per il raggiungimento della temperatura dell’evaporatore e del condensatore.

Le perdite di avvio del ciclo hanno maggior peso sul rendimento globale tanto più sono frequenti i cicli di accensione e spegnimento: per questo il motivo il rendimento delle macchine on/off cala al diminuire del fattore di carico.

Le macchine modulanti possono variare la potenza senza cicli di accensione e spegnimento e presentano una diminuzione molto meno marcata del rendimento rispetto alla diminuzione del fattore di carico.

Le pompe di calore possono modulare la potenza sino a rapporti che possono raggiungere 1/3 o 1/4 della potenza massima. Questo limite è dato dai seguenti motivi:

  • i motori elettrici, per evitare surriscaldamenti, non possono ruotare al di sotto di una frequenza minima;
  • i compressori presentano la necessità di mantenere una velocità di rotazione minima per garantire una adeguata lubrificazione.

Ne consegue che anche le macchine modulanti sono carat- terizzate da ciclo di accensione e spegnimento, con un calo di rendimento al di sotto di un certo fattore di carico.

Andamenti tipici del calo di rendimento in funzione della variazione del fattore di carico, sia per macchine on-off sia modulanti, sono riportati in Fig. 15.

Attualmente la quasi totalità dei produttori delle pompe di calore aria-acqua propone macchine di tipo modulante.

ACCORGIMENTI PER MASSIMIZZARE IL RENDIMENTO DEGLI IMPIANTI CON POMPA DI CALORE ARIA ACQUA

Per massimizzare il rendimento delle pompe di calore aria- acqua possono essere adottati accorgimenti sia di tipo progettuale, sia sulla loro corretta gestione.

ACCORGIMENTI PROGETTUALI

Nel primo caso si agisce sui fattori che possono essere controllati dal progettista: il fattore di carico e la temperatura di mandata. Per quanto riguarda il fattore di carico è fonda- mentale che la pompa di calore sia dimensionata in modo corretto evitando il più possibile sovradimensionamenti, ben più penalizzanti rispetto agli impianti dotati di caldaie a gas. Per le pompe di calore aria-acqua è spesso conveniente un dimensionamento della potenza leggermente inferiore al carico di picco di calcolo statico (vedi Idraulica 61).

Le accortezze progettuali che permettono di minimizzare la temperatura di mandata sono quelle di prevedere impianti con la temperatura operante il più bassa possibile. Per questo motivo l'impianto di emissione migliore per un generatore a pompa di calore risulta quello radiante. Inoltre, è conveniente adottare alcuni accorgimenti, quali l’adozione di interassi inferiori ed evitare circuiti a temperatura maggiore per i termoarredi di integrazione.

Nel caso di pompe di calore accoppiate ad impianti a radia- tori, tipico delle ristrutturazioni, è necessario verificare che la massima temperatura erogabile dal generatore sia sufficiente a garantire la potenza di progetto ai caloriferi. Ove non si raggiungesse questo obiettivo, bisognerebbe aumentare il numero di radiatori o, in alternativa, aumentare la potenza dei radiatori esistenti tramite l’aggiunta di nuovi elementi. Quest’ultimo accorgimento risulta in ogni caso utile poiché consente di ridurre la temperatura di mandata dei radiatori.

Un altro aspetto spesso sottovalutato in fase di progettazione degli impianti a radiatori con pompe di calore è quello della distribuzione: a differenza di quanto avviene con gli impianti dotati di caldaia a condensazione, negli impianti a pompa di calore è necessario minimizzare il più possibile il salto termico dei radiatori al fine di ottenere una maggior temperatura media operante del radiatore. Ad esempio, un impianto a radiatori progettato con temperatura di mandata di 50 °C ed un salto termico di 10 °C, avrà una temperatura media dei radiatori pari a 45 °C; lo stesso impianto potrebbe essere progettato con salto termico di 4 °C riducendo la temperatura di mandata a 47 °C con un vantaggio per l’efficienza della pompa di calore.

ACCORGIMENTI DI GESTIONE

La regolazione e la gestione degli impianti a pompa di calore, vista l’estrema variabilità di COP di queste macchine, rico- prono un ruolo altrettanto importante quanto una corretta progettazione.

Al pari della progettazione la regolazione permette di agire e ottimizzare i parametri relativi alla temperatura di mandata e al fattore di carico, ma anche come vedremo, di ottimizzare parzialmente fattori apparentemente indipendenti dal controllo progettuale, come la temperatura esterna e lo sbrinamento.

Per ottimizzare la temperatura di mandata di una PDC si possono attuare le seguenti strategie di regolazione:

1. adottare una regolazione di tipo climatico e regolare i terminali a portata costante e temperatura variabile;

2. in presenza separatori idraulici regolare le portate in modo che la portata del circuito primario sia sempre maggiore del secondario.

Per massimizzare il fattore di carico è opportuno modulare la temperatura in modo che i termostati ambiente rimangano in richiesta di calore per il maggior tempo possibile evitando continui pendolamenti acceso-spento. Un’ulteriore strategia risulta quella di impostare delle fasce orarie di utilizzo della macchina soprattutto nelle stagioni con clima più mite, in modo che la pompa di calore lavori in modo continuativo per una certa fascia oraria e rimanga completamente spenta per il resto della giornata.

Per massimizzare il fattore relativo alla temperatura esterna e allo sbrinamento, è consigliabile evitare il più possibile il funzionamento nelle ore notturne e delle prime ore del mattino quando le temperature esterne sono più rigide e l’umidità relativa più alta. Ovviamente questa strategia è tanto più attuabile quanto minore è il carico richiesto dall’abitazione e laddove le abitazioni abbiano una buona capacità di accumulare calore. 

DIFFERENZE PRINCIPALI TRA LE PRESTAZIONI DI UN IMPIANTO CON CALDAIA A GAS E UN IMPIANTO A POMPA DI CALORE ARIA-ACQUA

Come visto nei paragrafi precedenti il rendimento degli impianti dipende in modo significativo anche da una corretta progettazione e regolazione. Tuttavia, esistono profonde differenze tra gli impianti che presentano una caldaia a gas a condensazione, rispetto a quelli alimentati da una pompa di calore aria-acqua. Tale differenza risiede nell’ampia variabilità di rendimento che le pompe di calore presentano rispetto alle caldaie.

Infatti, una caldaia a gas mal progettata e gestita, potrà avere un rendimento inferiore, al massimo, del 15 % di una sua omologa ben dimensionata e regolata.

Tale differenza di rendimento si configura come uno spreco netto di energia e andrebbe evitata, ma è di un’entità meno importante rispetto a quella che si può generare sugli impianti a pompa di calore.

Infatti, in questi impianti la variabilità di rendimento di una pompa di calore aria- acqua mal progettata e gestita può essere anche di 2 o 3 volte inferiore rispetto alla stessa macchina opportunamente selezionata e regolata. È infatti questo il motivo per il quale gli edifici dotati di impianti a pompa di calore risultano spesso avere consumi ben più elevati rispetto ai dati riportati nelle classificazioni energetiche, creando disagio e contestazioni da parte degli utenti finali.

I GAS REFRIGERANTI: R410A - R32 - R290

Nel numero 61 di Idraulica è stata fatta una panoramica dell’evoluzione delle caratteristiche e delle problematiche legate ai gas refrigeranti utilizzati nelle pompe di calore. Riprendiamo alcuni concetti per approfondire le caratteristiche del gas che si sta affermando nelle nuove macchine in uscita sul mercato, il propano comunemente noto come R290.

I gas fluorurati (HFC) sono stati proposti dai legislatori come sostituti delle sostanze che riducono lo strato di ozono, nei primi anni '80.

Il settore della refrigerazione, del condizionamento dell'aria e delle pompe di calore è il principale emettitore di gas fluorati, che rappresentano oltre il 90 % delle emissioni totali nell'UE.

Questo settore sta crescendo in modo esponenziale: il numero totale di unità di condizionamento, refrige- razione e pompe di calore dovrebbe aumentare a livello globale da 1,6 miliardi a 5,6 miliardi nel 2050. Nella sola Europa il numero totale di unità a pompa di calore è destinato a raddoppiare entro il 2025.

Per valutare gli impatti dei diversi gas ad effetto serra sul riscaldamento globale si utilizza il valore del Global Warming Potential (GWP), un numero adimensionale che misura il contributo all’effetto serra del refrigerante rispetto a quello di una sostanza di riferimento (CO2).

Anche se innocui per lo strato di ozono, i gas fluorurati hanno un effetto serra molto maggiore della CO2, in parti- colare un kg di R410A immesso in atmosfera ha lo stesso contributo all’effetto serra di 2,088 tonnellate di CO2.

Il Regolamento Europeo 517/2014 impone un drastico calo nell’emissione di gas a effetto serra, con un target di riduzione del 79 % entro il 2030 (utilizzando come riferimento la media di emissioni nel periodo 2009-2012). Per raggiungere questo ambizioso obiettivo sono state individuate diverse modalità d’intervento tra cui la riduzione progressiva degli HFC, espressa in Tonnellate di CO2 equivalente, immessi nel territorio dell’Unione Europea.

Per questi motivi negli ultimi anni le case produttrici si stanno orientando verso l’utilizzo di un refrigerante naturale, il gas propano (comunemente noto con la sigla R290) che ha un GWP quasi prossimo a quello della CO2.

Rispetto agli HFC largamente utilizzati il propano è infiammabile. La classificazione dei gas refrigeranti in base al livello di sicurezza è definito nella norma ISO817:2014 e riportato in Fig. 17.

La potenza emessa dalle PDC caricate con gas R410A risulta influenzata sia dalla temperatura dell’aria esterna sia dalla temperatura dell’acqua di mandata.

Le PDC caricate con gas R32 presentano invece una potenza emessa poco condizionata sia dalla tempera- tura della sorgente fredda esterna sia di quella calda lato impianto. La potenza termica generata da queste PDC rimane pressoché costante fino a temperature dell’aria tra i -5 e i -7 °C.

L’R290 ha il vantaggio di avere la potenza emessa poco influenzata dalla temperatura di mandata che può essere portata in condizioni ottimali fino a 65°C.
Come per R410A risulta invece soggetto a variazioni più evidenti della potenza in rapporto alla temperatura esterna.

Gli impianti di riscaldamento con pompe di calore funzionano generalmente con temperature medie del fluido scaldante inferiori rispetto agli impianti alimentati con caldaie. In caso di riqualificazione di un impianto termico dotato di radiatori, che prevede la sostituzione di un generatore da caldaia a pompa di calore, questo calo di temperatura comporta una diminuzione di potenza emessa dai corpi scaldanti che deve essere correttamente valutato dal progettista.

Tale valutazione può essere fatta calcolando la potenza emessa da ogni singolo radiatore (tramite la Formula 1) oppure calcolando la temperatura media del fluido (metodo alternativo proposto, Formula 2).

Se si utilizza la Formula 1 il procedimento è iterativo: occorre calcolare la potenza emessa da ogni singolo radiatore dell’impianto stimando di volta in volta una temperatura media differente, fino ad ottenere la potenza richiesta.

Q = B · ( Tm - Ta )n (Formula 1)

dove:

Q = potenza termica del radiatore, [W]

B = costante caratteristica del radiatore, [W/°Cn ]

Tm = temperatura media del fluido scaldante, [°C]

Ta = temperatura ambiente, [°C]

n = esponente specifico del radiatore

Per applicare il metodo alternativo proposto (Formula 2), invece, è necessario conoscere i dati progettuali dei radiatori (Potenza del singolo elemento, coefficiente “n”, ∆Tnom, e numero di elementi) o effettuare in caso contrario un rilievo dei radiatori installati.
Dalla Formula 1, attraverso la seguente trasformazione, si ricava la Formula 2 utile per calcolare la temperatura media del fluido scaldante minima necessaria per riscaldare un locale. Ripetendo il calcolo per tutti gli ambienti, la temperatura media minima di progetto sarà la maggiore tra quelle calcolate per ogni singolo locale.

ESEMPIO

Si calcoli la temperatura media minima di progetto di un locale avente dispersioni pari a 800 W riscaldato da un radiatore tubolare a 3 colonne con 20 elementi di altezza 650.
Dati:
Qloc= 800 W

Per il radiatore si possono assumere i seguenti dati
Qel = 65,2 W; n = 1,29; ∆Tnom = 50 °C; nr. el. = 20

Dai dati del radiatore si calcola la potenza nominale del radiatore, ad una temperatura media del fluido pari a 70 °C (temperatura ambiente pari a 20 °C con un ∆tnom di 50 °C)

Qnom= Qel · nr. el. = 65,2 · 20 = 1304 W

Per cui per l’ambiente e il radiatore considerato risulta una temperatura media minima di progetto pari a:
Tm= (1304/800)-(1/1,29) · 50 + 20 = 54,2 °C

Il metodo del calcolo della temperatura media minima di progetto risulta anche facilmente verificabile empiricamente in quanto è abbastanza semplice recuperare le temperature di lavoro effettive degli impianti esistenti. Queste temperature possono essere rilevate da una misura diretta della temperatura della mandata e del ritorno nelle condizioni di massimo carico. Risulta quindi immediato ricavare la temperatura media di lavoro di un dato impianto. Questa è necessariamente superiore alla temperatura minima di progetto.

Inoltre, in caso di impianto ben regolato, come ad esempio gli impianti dotati di valvole termostatiche, la temperatura media di lavoro risulterà prossima a quella di progetto e potrebbe essere utilizzata come valore di prima approssimazione in luogo di quella calcolata.

Qualora la temperatura media minima di progetto risultasse maggiore di quella raggiungibile dalla pompa di calore sarà necessario effettuare degli interventi correttivi.

Una valutazione dell’entità di questi effetti correttivi è rappresentata dal grafico in Fig. 19 dove è riportata la variazione di potenza emessa dai radiatori in funzione della temperatura media dell’impianto. Nel grafico è evidenziata una fascia in corrispondenza delle temperature medie del fluido scaldante tipica- mente raggiungibili dagli impianti a pompa di calore.

Come è facilmente intuibile, minore è la differenza tra la temperatura minima di progetto dell’impianto, e quella sviluppabile dalla pompa di calore, minore sarà la potenza da integrare rispetto a quella emessa dall’impianto.
Per poter correggere la situazione si possono adottare le seguenti strategie:

  1. Aumentare la capacità di emissione dei radiatori tramite l’aggiunta di elementi o di nuovi radiatori; questo intervento in genere è fattibile solo in caso di piccole correzioni di energia in quanto, negli impianti esistenti, i vincoli dati dagli attacchi e dagli spazi architettonici consento l’eventuale aggiunta di pochi elementi ai radiatori esistenti. L’aggiunta di nuovi radiatori è in genere poco utilizzata in quanto comporta opere murarie e l’occupazione di spazi architettonici sulle pareti. In genere questa opzione è sfruttata solo per alcuni ambienti nel caso risultassero particolarmente sfavoriti rispetto al resto dei locali.
  2. Isolare maggiormente le abitazioni; questo intervento diminuisce la potenza necessaria per il riscaldamento e, come visto nell’esempio, la temperatura media minima di progetto dell’impianto. E’ un intervento molto utile dal punto di vista energetico, anche perché la diminuzione della temperatura di mandata aumenta l’efficienza delle pompe di calore. Tuttavia, è un intervento molto invasivo e costoso e non sempre realizzabile
  3. Installare pompe di calore dotate di una tecnologia che permetta di innalzare le temperature di lavoro; sul mercato si stanno diffondendo tecnologie che permettono alle pompe di calore di raggiungere temperature sempre maggiori come quelle che utilizzano gas R290. Tale soluzione è semplice da implementare ma è sempre opportuno considerare attentamente i costi di conduzione di tali impianti in quanto innalzare la temperatura di mandata di una pompa di calore comporta, inevitabilmente, un calo della sua efficienza.

Le tre strategie sopra descritte si possono ripercorrere sul grafico riportato in Fig. 20.

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