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Rivista Idraulica 62

LA QUALITÀ DELL'ARIA

Articolo di: Ingg. Pietro Malavolta e Dennis Boetto
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L'aria che respiriamo gioca un ruolo fondamentale quando si parla di comfort ambientale e solo una ventilazione che soddisfi precisi requisiti è in grado di garantire una condizione di benessere. La temperatura, l'umidità e il livello di inquinanti sono solo alcuni fattori che determinano la qualità dell'aria da cui dipende la salute delle persone. 

Per controllare la qualità dell'aria è necessario considerare sia l'ambiente esterno sia quello interno. 
La qualità dell'aria esterna è condizionata principalmente dalle emissioni degli impianti industriali, degli impianti termici e del traffico automobilistico. Viene monitorata frequentemente da diversi enti, per verificarne il livello di inquinamento e, di conseguenza, quanto sia dannosa per la salute. 
In essa sono presenti diversi inquinanti come ossidi di azoto (NOx), monossido di carbonio (CO), ozono (O3) e composti organici volatili (VOC). È possibile trovare anche altri composti di tipo volatile come i pollini e i microrganismi. L'insieme di alcune di queste sostanze presenti in sospensione nell'aria, sia in forma solida sia in forma liquida, prende il nome di particolato. Quest'ultimo incide in maniera diretta sulla salute dell'uomo e per questo è stato classificato dagli enti di controllo in base alla dimensione delle particelle che lo compongono (fig. 1). 

Le direttive europee (tabella 1) fissano dei limiti precisi sui valori di concentrazione di particolato che non devono essere superati. Con lo scopo di rimanere entro i limiti, nelle aree urbane, sempre più spesso, vengono adottate contromisure più o meno stringenti come il blocco della circolazione dei veicoli più inquinanti. 

L'aria interna è altamente influenzata dall'aria esterna in quanto che entra negli ambienti domestici attraverso la ventilazione naturale e/o meccanica. 
La qualità dell'aria interna (Indoor Air Quality - IAQ) è altresì condizionata negli spazi domestici, anch'essi fonte di inquinamento. Questo risulta ancora più rilevante nel caso di edifici moderni, laddove i ricambi naturali d'aria sono ridotti per via degli obiettivi di diminuzione e contenimento dei consumi energetici. I principali inquinanti interni, che determinano effetti sia sulla salute sia sul comfort ambientale, possono essere suddivisi in percepibili, come umidità e fumo, e non percepibili, come CO2, allergeni e composti organici volatili (VOC). 

Qual è l'origine di questi inquinanti? (fig. 2) 

  • Impiego di materiali (di arredo, edili, etc) che possono emettere sostanze nocive come la formaldeide e i VOC. 
  • Attività quotidiane (preparazione dei cibi, uso di prodotti per la pulizia, fumo, etc.) che causano l'emanazione di ossidi di carbonio CO e di zolfo SO. 
  • Utilizzo di strumenti ed apparecchiature elettriche (stampanti, fotocopiatrici, etc.), responsabili della formazione di polveri, VOC, etc. 

In assenza di adeguati ricambi d'aria gli inquinanti citati tendono ad accumularsi, modificando la salubrità dell'aria e rendendola viziata. L'aria viziata, immediatamente percepita dagli occupanti, viene spesso indicata tra le maggiori cause di scarso comfort. 

È importante sottolineare che la maggior parte delle persone trascorre gran parte del proprio tempo in un ambiente chiuso, pertanto, in presenza di scarsa qualità dell'aria e in assenza di un corretto tasso di ventilazione possono insorgere una serie di disturbi: 

  • effetti a breve termine (mal di testa, mal di gola, raffreddore, tosse, bronchite e irritazione della pelle); 
  • effetti a lungo termine (problemi al sistema nervoso centrale, cardiovascolari, respiratori, al fegato, alla milza, al sangue e all'apparato riproduttivo). 

L'insieme di questi disturbi legati alla permanenza prolungata con un basso tasso di ventilazione è riconosciuta come "sindrome dell'edificio malato". 

Normalmente, l'aria esterna penetra all'interno degli edifici attraverso aperture esistenti nell'involucro edilizio, quali interstizi attorno agli infissi (infiltrazioni) e attraverso l'apertura di porte e finestre. Le costruzioni moderne (fig. 3) sono sempre più orientate alla riduzione dei consumi energetici: sono molteplici gli interventi effettuati negli ultimi anni in fase di riqualificazione degli edifici, tra questi la sostituzione degli infissi in particolare. Questi ultimi hanno subito un'importante evoluzione, raggiungendo elevate prestazioni e ridotte dispersioni termiche e, allo stesso tempo, una tenuta all'aria quasi perfetta. Questo vuol dire che il naturale ricambio che si aveva con le vecchie generazioni di infissi si sta via via perdendo. L'umidità RH (Relative Humidity) prodotta in ambiente può promuovere la proliferazione di muffe, spore e batteri soprattutto in corrispondenza dei punti freddi generati, ad esempio, dai ponti termici. 

È un tipo di inquinante che, se non opportunamente controllato, può peggiorare la qualità dell'aria interna. Anzitutto, è bene ricordare la distinzione tra l'umidità assoluta e relativa. 

  • Umidità assoluta (UA): rapporto tra la massa di vapore d'acqua contenuto nell'aria ed il volume (o la massa) dell'aria che la contiene. 
  • Umidità relativa (UR): rapporto tra la massa di vapore d'acqua contenuto nell'aria e la massima quantità di vapore che può contenere lo stesso volume d'aria. 

Negli ambienti chiusi è possibile trovare diverse sorgenti di umidità: l'uomo produce vapore d'acqua, durante il sonno (~40 g/h) e soprattutto durante le attività domestiche (~55 g/h). Anche cucinare o farsi una doccia, con una produzione media rispettivamente di ~900 g e ~240 g, contribuiscono all'accumulo di vapore negli ambienti. Vi è, tuttavia, una fascia di valori di umidità relativa in cui l'uomo percepisce il maggior benessere. Questa zona, indicata da diverse fonti autorevoli come ASHRAE, è indicata nella banda tra il 40 e il 60 %. 

Con UR troppo basse l'aria diventa maggiormente secca favorendo la trasmissione di batteri e virus. Invece, con soglie di UR più elevate si generano condizioni maggiormente favorevoli per la formazione di muffe e per la proliferazione di acari. Ovviamente, l'umidità relativa negli ambienti chiusi tende ad aumentare quando non viene garantito un numero adeguato di ricambi d'aria. 

La formazione di muffa è favorita, oltre che dalla condizione di elevata umidità, dalla presenza di pareti più fredde di quelle circostanti. Infatti, un ambiente non riscaldato o un ponte termico non controllato possono causare la condensazione del vapor d'acqua contenuto nell'aria sulla superficie della parete (quando la sua temperatura è uguale a quella di rugiada) (fig. 5). 

È interessante notare che in inverno, anche senza uno specifico trattamento di deumidificazione, il semplice ricambio d'aria può contribuire alla diminuzione dell'umidità negli ambienti chiusi. 
In inverno, l'aria esterna (più fredda), pur avendo una UR elevata, è solitamente caratterizzata da una umidità assoluta minore rispetto a quella interna. Questo perché più fredda è la temperatura dell'aria, meno è in grado di trattenere il vapor d'acqua (fig.6).

L'anidride carbonica è uno tra i principali responsabili dell'incremento dell'effetto serra ed è prodotta in gran parte dalla combustione dei derivati del petrolio. Ci sono, tuttavia, altre cause tra cui la respirazione delle persone, più o meno influente a seconda della loro attività, la presenza di animali domestici, i processi biologici notturni delle piante, ecc. (fig. 7). È un inquinante impercettibile ma con dei chiari effetti sulla salute umana. 

Viene qualitativamente considerata salubre l'aria con concentrazioni tra i 300 e i 500 ppm di CO2. Con valori oltre i 1000 ppm gli occupanti percepiscono l'aria come viziata, fino ad arrivare a concentrazioni molto elevate (> 5000 ppm) dove è possibile andare incontro anche a tossicità (tabella 2). 

Per questo motivo, alcune normative, tra cui la UNI EN 15251, hanno stabilito dei limiti di concentrazione di anidride carbonica, allo scopo di garantire salubrità dell'aria e salute. La normativa citata classifica la quantità di CO2, secondo quattro categorie, come differenza tra la concentrazione presente nell'ambiente interno rispetto a quella presente all'esterno. Una categoria più alta implicherà un tasso di ricambio d'aria maggiore, per controbilanciare la quantità di CO2 in ambiente (fig. 8). 

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